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Tornai al mio posto, percorrendo il corridoio e ripensai al caso di Lin Ju. Era giunta nel nostro paese attraversando a piedi le frontiere di Cina, Mongolia, Pakistan, Ucraina, Austria e Italia. Lin Ju era l'epigono di una lunga tradizione. L'antico popolo dell'oasi di El Fayyum aveva trasformato in arte l'abitudine dei pastori nomadi di restare in silenzio per lunghi mesi. Al fine di non perdere l'uso delle parole e, soprattutto della ragione, trascorrendo gran parte della vita in mezzo al deserto e al bestiame, i nomadi avevano messo a punto alcune tecniche per mantenere in esercizio i centri del linguaggio, senza emettere suoni. In effetti, le condizioni climatiche e il temutissimo vento del Sahara imponevano labbra serrate e occhi bassi. Era così sottile la sabbia da provocare abrasioni incurabili anche con impacchi di erbe magiche, praticati dalle tribù di Tangeri. La tradizione del Silenzio affondava le radici nell'antichissimo Egitto. In origine, il suo nome fu Horo o Arpocrate, dalle sembianze di falco. Era stato sulle gambe di Iside che gli aveva donato la veste ricamata di occhi e di orecchie. Si narrava che avesse appreso l'arte del Silenzio dallo sciame delle api di cui Iside era Regina e protettrice.