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Solo pochi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, Simone de Beauvoir, anche grazie alla sua frequentazione della letteratura antropologica, affermava "donna non si nasce, si diventa". Questo lavoro sposta l'attenzione sulla complessa relazione tra corpo e generi che vengono analizzati, nelle loro implicazioni dialettiche e conflittuali, come costruzioni socioculturali. L'antropologia ha da tempo ribadito che corpi e generi non sono essenze riconoscendo altresì l'impossibilità di una postura neutrale che prescinda dal confronto con meccanismi di dominazione rispetto ai quali non basta dirsi donna. Gli itinerari etnografici qui tracciati - muovendo dall'esemplarità negativa dello stupro genocidario rwandese che decostruisce il corpo sessuato, raccontando le soggettività dei pagne "autenticamente africani", denunciando l'ipocrisia della chirurgia estetica intima femminile, evidenziando i bisogni di risignificazione dei corpi tatuati per approdare al "tempo incerto" della menopausa nella migrazione - conducono a reinterrogare la disciplina antropologica e le sue pratiche anche nel rapporto, tutt'altro che lineare, con i femminismi.