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Con quei suoi tratti delicati, gentili e miti, i biondi capelli e la pulizia accurata delle vesti, lo Hölderlin ritratto da Zweig è la figura in cui più violentemente contrasta l'oscurità del suo dèmone interiore, quell'irrequieto slancio poetico che, come una necessità, un ineluttabile destino, lo conduce via con sé, sempre più lontano dalla vita e dalla realtà, dalla loro dimensione umana. "La legge della vita [...] non tollera che si resti al di fuori dei suoi eterni giri: chi si rifiuta di tuffarsi in quel caldo flutto, muore di sete a riva; la vita di colui che non partecipa è destinata a rimanere eternamente fuori, in solitudine tragica", scrive Stefan Zweig che, con un'appassionata e poetica analisi, traccia la parabola della "caduta nell'infinito" di quest'eroe, grandiosamente tragico e triste. Ma la poesia sopravvive anche al disfacimento e alla dispersione della ragione, e Zweig pietosamente lo coglie, lui che fu profeta inquieto presso gli uomini delle idealità dell'umanesimo non meno di Hölderlin, e che ha fatto del biografismo e della follia gli ambiti di uno scandaglio profondo, sempre illuminando il valore dell'uomo in quanto tale.