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Durante l'età comunale i comuni attuarono forme di gestione assai complesse, che potevano prevedere l'abbandono della fruizione collettiva in vista di modalità di conduzione finalizzate a una più intensa valorizzazione dei beni. Impostato con un taglio regionale, il libro ricostruisce tali innovazioni, capaci di innescare episodi di conflittualità con gli antichi detentori della giurisdizione, ma anche profonde fratture all'interno delle società locali. I dissidi sulle proprietà collettive contribuirono ad acuire la contrapposizione fra aristocratici e popolari. Un'attenzione particolare viene prestata ai diversi piani giuridici che regolavano la titolarità delle comunanze: diritto d'uso, dominio utile e dominio eminente. L'immagine dei comuni che viene restituita non è quella tradizionale di boschi e pascoli, di incolti poco produttivi adibiti a pratiche comunitarie, ma piuttosto quella di terreni sottratti all'uso civico e concessi in locazione dalle autorità municipali. Attraverso un percorso segnato da conflitti giurisdizionali e da tensioni sociali e istituzionali, città e grossi borghi pervennero a un sistema gestionale efficiente e redditizio dei patrimoni in loro possesso.