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Sempre più spesso ci imbattiamo in giovani che manifestano nuove forme di disagio. Le classificazioni diagnostiche non mancano, anzi si aggiornano rapidamente e si moltiplicano in modo esponenziale sotto la categoria del "Disturbo di o della...", che implicitamente rinvia alla necessità di trovare modi e mezzi per tacitarlo se non, addirittura, estirparlo. Genitori e Servizi sono spesso impotenti di fronte alle nuove forme del disagio contemporaneo, dove gli ideali che un tempo riuscivano in qualche modo a offrire delle soluzioni collettive o a temperarne l'angoscia hanno perso valore. Così il disagio si manifesta sempre più nella sua urgenza e l'unica soluzione possibile è la richiesta di interventi volti a "normalizzare" il comportamento del minore, interventi che spesso finiscono per acuire il disagio stesso e le modalità in cui ciascuno lo esprime. L'esperienza delle istituzioni che si rifanno alla psicoanalisi di Jacques Lacan rovesciano, invece, la prospettiva comune. Il disagio prima di tutto è una forma di appello, non un disturbo, e il comportamento che lo rivela è la parola, sebbene ridotta al torsolo, spesso mal formulata o espressa tramite agiti. Occorre ascoltarla nella sua declinazione singolare per farsi partner di ciascuno in modo unico, ritessendo relazioni di fiducia e sostenendo le invenzioni singolari che ognuno riesce a mettere in campo per trasformare il disagio in qualcosa d'altro. Quanto testimoniato in questo volume parte dalle esperienze di accoglienza di minori in diverse istituzioni, per introdurre una riflessione sul soggetto contemporaneo e abbozzare un discorso politico critico sulla spinta all'omologazione sempre più presente e offerta come l'unica possibile in una società che continua, invece, a dichiararsi democratica e globalizzata.