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Oggetto di queste pagine è l'anima, ossia la condizione di possibilità di ogni conoscenza; quella che i greci chiamavano psyché e che i moderni avrebbero concepito più specificamente come luogo della coscienza, per quanto già a Freud questa coscienza mostrasse di essere tutt'altro che padrona del proprio campo d'azione. Nel corrispondere al proposito di parlare dell'anima, e soprattutto di dirla iuxta propria principia, l'autore ripensa e ridetermina alla radice le grandi articolazioni che a questo oggetto d'indagine sarebbero state date in prima battuta da Aristotele e in seconda battuta da Kant. E conseguentemente rovescia il senso per lo più attribuito alla "domanda filosofica", mostrando come il thauma da cui viene alimentato l'anelito conoscitivo non sia provocato tanto dal molteplice e dalla sua esistenza, quanto dal suo immediato palesarsi quale espressione dell'intrascendibile distinguersi dell'indistinto, perché quello che l'anima incontra, ogni volta che le capita di aver a che fare con il mondo (ovvero, ogni volta che si sa come anima), è in verità sempre il medesimo.