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In questo libro postumo di Fabio Doplicher, non solo il tema è Roma e il tempo, ma proprio Roma è il tempo: sfasciata e sfasciante, madre e matrigna, màcina. Città eterna perché cancella passato e presente come categorie del tempo, allineandoli e interscambiandoli: un gran teatro polifonico è allestito in queste pagine, dove si incastrano storie e geografie, umano e divino, in un doppio passo che alterna quattordici poemetti in cui la protagonista è Roma ad altrettanti testi in corsivo che ne costituiscono una sorta di prologo, in cui il poeta dialoga, come un testimone, con la propria donna. Sarcofaghi e cassonetti, plastica e travertino, ristoranti cinesi e l'anima del Mazzarino diventata tortora, teschi che "vengono a bere luce col dio / prima di tornare agli scheletri interrati" su cui la Roma-catafalco dell'ultimo poemetto pianterà la propria lancia, costituiscono il tessuto di questa epica grandiosa e rovinosa insieme. Vicende e creature che in Chiostri e cortili di Roma, il testo che forse di tutto il libro è il seme, l'uomo del ghiaccio, alias la morte e il tempo, gira ad arpionare con l'uncino mentre alfine "Roma nel buio gli poggia le chele sul grembiule".