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"Questo testo presenta un'analisi femminista della riproduzione come forza strutturante che definisce il femminile in relazione alla biopolitica, alla sfera sociale e allo stato nazionale. Ripercorre la genealogia storica della costruzione del femminile attraverso un'esplorazione della divisione mitica dei ruoli maschile e femminile nella procreazione: quelli della forma e della materia. Negli antichi libri di scienza scritti in latino, il termine "matrice" è sinonimo di utero. Per questo motivo ho deciso di mantenerlo nella mia scrittura, anche se qui il termine non si riferisce solo all'organo. Piuttosto si collega alla riproduzione fisica della logica dell'"equivalente generale" delineata dal filosofo Jean-Joseph Goux. La matrice è stata storicamente separata dal corpo della donna, ridotta a contenitore biologico e posta sotto la responsabilità della storia delle scienze della vita, in particolare dell'embriologia. La riduzione del corpo della donna a un'intelligente incubatrice e la concezione della madre come una macchina hanno comportato prima una svalutazione del corpo materno, e poi la cancellazione del soggetto nella madre. Questa è, inoltre, l'archeologia sessuale che riflette la battaglia tra idealismo e materialismo. La separazione tra l'utero e la donna, come descritto nel primo capitolo, è stata operata dai medici. La medicina ha giocato un ruolo fondamentale nella repressione delle donne e nel sostenere una precisa ideologia del loro ruolo: in anatomia la matrice è stata a lungo considerata un "animale dentro un animale" - cioè un organo di natura mobile. L'utero è diventato una sorta di terreno di competizione tra gli scienziati per il controllo del corpo femminile e del suo potere riproduttivo. Nel secondo capitolo, analizzo questo passaggio esaminando il modo in cui la civiltà impone un costume disciplinare al corpo femminile. La monopolizzazione della violenza fisica da parte dello Stato esclude le donne dall'esercizio di tale potere delegato, e rimodella l'habitus sociale in cui esse operano. Il corpo femminile viene confinato nei vestiti che lo stringono e lo immobilizzano, mentre il corpo maschile viene ridisegnato come motore umano. Questa disciplina limita la capacità delle donne strutturando per loro una incapacità fisica. Il terzo capitolo è dedicato alla costruzione della "differenza" nella "transizione al capitalismo", che ha trasformato profondamente la riproduzione della forza lavoro. La persecuzione delle donne durante la caccia alle streghe del XVI e XVII secolo è una forma di terrorismo attuata con l'obiettivo finale di naturalizzare il "lavoro femminile" e di rinforzare economicamente la trasformazione delle donne in proprietà privata. Infine, nell'ultimo capitolo, la maternità surrogata e lo sfruttamento dell'utero sono introdotti attraverso un immaginario "futurista" e un femminismo che muove i primi passi dal miraggio dell'ectogenesi. Questa spinta anglosassone, da Shulamith Firestone in poi, ha visto nella tecnologia una forma di liberazione dalla naturalità. L'utero è stato investito di un'essenza "macchinica" all'interno di un movimento progressista che non ha scosso le colonne su cui si fonda l'inferiorizzazione delle donne, ma che ha tutt'al più abbracciato la loro forma patriarcale, sfruttando geografie considerate "inferiori" e sconfiggendo le stesse lotte femministe attraverso posizioni reazionarie e conservatrici, ben rappresentate dal femminismo neoliberale. Lo scopo di questo testo è capire come la riproduzione della vita determini una riproduzione dell'economia e viceversa, nella prospettiva di un femminismo intersezionale che considera le oppressioni multiple (attraverso il genere, la razza e la precarietà del lavoro), al fine di ripensare la società sulla base dei bisogni collettivi delle più oppresse".