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"Perché scrivere questa storia famigliare? Perché rivangare un passato ormai lontano più di cento anni? E soprattutto per chi? Il primo forte impulso emotivo a ricercare e a raccontare mi è venuto circa tre anni fa dal poter toccare con mano e rileggere il diario autografo, scritto da mio nonno Pasquale nell'anno e mezzo in cui fu prigioniero di guerra in terra straniera fra il 1917 e il 1918. Devo tuttavia confessare che leggere le sue parole che, testimoniano i patimenti fisici e la profonda sofferenza interiore sua e dei soldati suoi commilitoni, è stato per me insopportabile per molto tempo. Volevo allontanare la consapevolezza che quel calvario, per molti decenni sfuggito all'attenzione degli storici e per troppi aspetti simile a quello vissuto nei lager nazisti da altri uomini, fosse toccato a un mio famigliare. Non a caso, pur avendolo letto per la prima volta tanti anni fa, quando, ancora adolescente, l'avevo ricevuto dalle mani di mio padre, ne avevo rimosso il ricordo lasciandolo nel cassetto insieme agli atti notarili che avevano stigmatizzato la sua vita errabonda e tormentata." (L'autrice)