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"La parodia si compone di trentacinque canti, avendo il Cavagnari anteposto al canto introduttivo e ai trentatré canti di cui si compone l'Inferno dantesco un canto proemiale, nel quale giustifica celiosamente la sostituzione di Dante con Gioppino. Fin dal titolo il celebre burattino bergamasco risulta essere il protagonista del poema e per la sua contadinesca rusticità mette più d'una volta a dura prova l'indulgente pazienza di Virgilio. Sono innumerevoli nel poema gli episodi nei quali Gioppino dà saggio della sua ingenua grossolanità, dei suoi modi rozzi, ordinari e tuttavia schietti, delle sue reazioni semplici e spontanee, rispondenti ad una logica pressoché primitiva e bonacciona. Il ricorso ad interiezioni, a locuzioni e a metafore tipiche del dialetto della pianura bergamasca tradisce una lunga dimestichezza dell'autore con la gente della campagna e un'attenzione vivida ai suoi usi. Occorre peraltro avvertire il lettore che in certi passi il Gioppino del Cavagnari, là dove l'intento parodistico e ridanciano lo concede, si abbandona al grassoccio e allo scurrile ma l'ilarità che ne sortisce merita qualche clemenza anche da parte degli spiriti più severi". (Umberto Zanetti)