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" Una volta compreso che non vi furono né vi saranno le età dell'oro di cui si favoleggia, ci si libera dalla follia di sopravvalutare qualche epoca passata o di disperare del presente o di sperare nel futuro, e si riconosce nella contemplazione dei secoli un'occupazione tra le più nobili: è la storia della vita e delle sofferenze dell'umanità nel suo complesso. Eppure l'antichità avrebbe per noi una grande, speciale importanza obiettiva: da essa deriva la nostra idea di Stato; è la culla delle nostre religioni e della parte duratura della nostra civiltà. Molte delle sue produzioni plastiche e letterarie sono esemplari e ineguagliate; di essa dobbiamo tener conto per infiniti rispetti di affinità e di opposizione. Ma può bastare che sia per noi il primo atto del dramma dell'uomo, ai nostri occhi già di per sé una tragedia, con fatiche, colpe e sofferenze smisurate. E anche se discendiamo da popoli ancora immersi nel sonno dell'infanzia accanto ai grandi popoli civili dell'antichità, pure ci sentiamo i veri discendenti di questi ultimi, perché in noi è passata la loro anima, e sopravvivono in noi la loro opera, la loro missione, il loro fato".