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"Mi torna in mente un pomeriggio trascorso a Londra nel quartiere cinese, a Pennyfields. La nebbia conferiva alle ragazze sbronze davanti alla porta delle loro case in mattoni, una dignità e un onore da museo Grévin. Lo spettacolo di quelle figure di cera perse nella nebbia poteva far nascere qualche idea. Mi affrettai a scattare qualche foto, rapidamente, a casaccio. Poi le feci sviluppare. Non erano venute bene ma mi procurarono delle sensazioni meravigliose. In una di queste, in primo piano si vedeva una porta con la vetrata rotta. Al suo posto era stato incollato un manifesto in caratteri cinesi. La strada era ripresa in tutta la sua lunghezza. Si vedevano tutte le porte che si aprivano sul marciapiede di destra. E nel vano di ogni porta appariva una gonna femminile, solo una gonna perché tutte le ragazze di cera si erano affrettate a ritirarsi vedendomi armeggiare con la macchina fotografica. In primo piano, una gamba molto bella e l'orlo di un abito si associavano al manifesto cinese. Il mistero iniziava da questa gamba". Gli scritti di Pierre Mac Orlan sulla fotografia sono sempre sospesi a questo sguardo che incarna la poetica del "fantastico sociale". Lo scrittore del "Porto delle nebbie" e di molti altri libri che gli diedero il successo nella prima metà del Novecento, aveva una predilezione per la nuova arte e nel 1929 scrisse che "la fotografia è un'arte di espressione letteraria". In questo libro che per la prima volta presenta al lettore italiano, Mac Orlan parla della Parigi di Atget e di Kertész, dello sguardo di Cartier-Bresson e del mondo che appare negli scatti di Willy Ronis. Mai tecnico, sempre calato nei mondi che la fotografia sa far lievitare e rendere nella loro segreta verità, questi scritti occasionali non sono affatto una parte minore dell'arte letteraria di Mac Orlan.