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Le interviste a grandi scrittori - avverte Luana Salvarani nell'Introduzione - obbediscono a una tacita convenzione: il lettore non saprà mai se quello che legge costituisce lo "sfondo", la radice biografica delle loro costruzioni letterarie, o se l'intervista a sua volta costituisca un'altra costruzione letteraria di diverso genere. Da qui il fascino del "Questionario di Proust", dove, giocando a rispondere a una serie di domandine salottiere, il perfido Marcel ci offre per un attimo l'illusione di avere qualche strumento in più per dipanare il labirinto della Recherche. Illusione pericolosa e che tuttavia costituisce il fascino del "gioco dell'intervista". Anche in queste interviste, come nel più celebre romanzo di Cortázar, Rayuela, il lettore è invitato implicitamente a prendersi le proprie responsabilità, a scegliere e gerarchizzare le preziose informazioni fornite, a capire cosa sia report, cosa appartenga al campo dell'automitologia e quando accade che l'autore entri in un proprio personaggio. Personaggi così vissuti che accade, in queste pagine, che l'autore sostenga «Oliveira pensa che», «rispondo anche a nome di questo mio personaggio». Una folla di alter ego in cui lo stesso Cortázar rifiuterebbe di identificare un vero sé. L'unicità dell'essere in ogni singola circostanza gli impedisce di tracciare un ritratto unitario dell'io "biografico", "vero". Che tuttavia in queste interviste a suo modo si svela, forse soprattutto attraverso due temi: la riflessione sulle strutture romanzesche e il rapporto con la politica.