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«"Milosz, in transe mi annuncia che Dio gli ha permesso di divulgare le rivelazioni trovate nell'Apocalisse. Poi cade in ginocchio e ringrazia per la grazia ricevuta. Tutto questo gli porta terribili tormenti di giorno e di notte che gli danno l'impressione di essere assediato dalla follia. Le sue argomentazioni, però, scorrono lucide e ragionevoli. Nell'Apocalisse tutto è previsto: è l'America, l'impero del diavolo e di Satana, che ha rinchiuso il mondo in una rete di sortilegi diabolici. 666 è la sua cifra, lo confermano l'ebraico e il basco, lingue che svelano il nome nascosto dietro quel numero: America". Così scrive Petras Klimas il 13 maggio 1933. Le parole riportate dal diplomatico lituano descrivono il furor che, negli ultimi anni di vita, si impadronisce di colui che, fino alle soglie del Primo conflitto mondiale, era per molti solo un poeta e uno scrittore. E così rimarrà nella mente di amici e ammiratori anche quando Oscar Vladislas de Lubicz Milosz si spegnerà a seguito di un'embolia, il 2 marzo del 1939, dopo aver tentato, invano, di riportare il suo canarino nella gabbia da cui era appena fuggito. Sulla lapide, al cimitero di Fontainebleau, sarà inciso "Poeta e metafisico". Per una ristretta cerchia di studiosi, era scomparso un grande scrittore a cui non era stato tributato il meritato riconoscimento forse anche a seguito di una presunta scomunica decretata dall'influente André Gide. Ma O.W. Milosz, come si firmava prima del 1914, oppure O.V. de L. Milosz, come preferiva chiamarsi negli ultimi anni di vita, non è stato solo un poeta. La sua quête non si esaurisce nella produzione di versi o nella ricerca spirituale condotta sulla scia della Cabala, di Swedenborg, di Meister Eckhart ma prosegue in una produzione intellettuale difficile da classificare e che grazie a questa traduzione di "Le origini iberiche del popolo giudaico", L'Apocalisse di San Giovanni decifrata e La chiave dell'Apocalisse in Italia si comincia solo oggi a scoprire.» (Simone Paliaga)