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Duchamp ci ha "educati" al nonsense nell'arte visiva. Ogni sua opera è al tempo stesso rappresentazione della fine dell'arte come l'abbiamo conosciuta per secoli e uno "scherzo". Pensiamo a un orinatoio trasformato in opera d'arte o al graffio sul volto della Gioconda dove la "didascalia" di cinque lettere rimanda a una segreta e impensabile frenesia erotica della donna più sfuggente che la pittura ci abbia dato. Duchamp è l'emblema precoce di quello slittamento dell'arte dal confine strettamente estetico verso quello antropologico. Ma oggi vediamo che questa svolta rappresenta il maggiore problema dell'arte attuale, che ha perduto il suo pubblico tradizionale e le sue regole auree (diventando comunicazione). Quanto ha pesato Duchamp in questa evoluzione? Molto. E a renderlo ancora più presente oggi c'è la sua strategia fondata sulla reticenza e l'ambiguità. Che cosa si può fare quando si ha di fronte "qualcuno" o "qualcosa" cui non si riesce a cavare di bocca una parola, che si chiude orgogliosamente nel proprio solipsismo? Che fa di tutto per deviare verso strade senza uscita l'intelligenza di chi vuole capire che cosa ha da dirci? O si abbandona la partita oppure si cerca di far parlare i pochi indizi, anche mistificatori, che l'ermetico artefice dissemina per rendere ancor più impenetrabile la propria opera. Questo saggio accetta la sfida e adotta come metodo l'eccentricità del punto di vista che osserva il proprio oggetto di studio da punti periferici, ovvero da una certa distanza come se non volesse interferire troppo col mito che manipola sapientemente ogni risposta venga data all'enigmatica forma delle sue opere. Mettere "fuori servizio" Duchamp equivale all'epochè fenomenologica: è una temporalità sospesa che, oltre a essere tema della strategia di Duchamp, isola provvisoriamente l'oggetto per poterlo valutare con maggiore chiarezza nel contesto storico-culturale. Mettere "fuori servizio" Duchamp è come assecondare la sua volontà di asceta che tenta la fuga perché del mondo in cui vive prova disgusto: il contemptus mundi di chi aspira all'eternità è un tema che in Duchamp si manifesta con una freddezza (o secchezza, come avrebbe detto lui) che compensa nell'arte la soggezione agli appetiti sensuali cui Duchamp come uomo non si nega, ma poi sublima con "tecniche dell'inganno" che ne dissimulano la natura ibrida che cerca nel mito dell'androgino primordiale la via di fuga dalla carnalità. Come un antico gnostico o un santo del deserto.