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"Lettore, se vai nel numero di coloro, che gridano sacrilegio a tutti gli ardimenti di stile, se con cuore assiderato, e rattratto dalla superstiziosa pedanteria ti accosti alla lettura di Persio; non toccar Persio: egli è libro scomunicato per tutte le anime paurose, egli dichiara altamente, egli stesso, di non volere a lettori, che ingegni caldi e bollenti". Così annotava Vincenzo Monti nella prefazione al suo Persio, tradotto in terza rima e commentato in un'edizione milanese del 1803. E aggiungeva, ancora rivolgendosi al lettore imbelle che mai e poi mai avrebbe potuto apprezzare i versi del più puro e sdegnoso dei poeti latini, che Persio "è una voragine che assorbisce tutti gli spiriti delicati", e che colpisce con la sua "tenebrosa precisione". Aspro e feroce, ma anche tenero e riconoscente nei versi dedicati al suo maestro, Persio non si limita a sferzare i suoi lettori con l'intransigenza di un poeta che si era formato sulle pagine più estreme della filosofia stoica: vuole colpirli con l'audacia, l'energia e la crudezza di immagini di rara tensione concettuale. Nuovamente tradotto e annotato da un giovane poeta come Matteo Veronesi, questo Persio pare irrompere nelle nostre coscienze con la stessa carica eversiva di quando apparve ai lettore di età neroniana: non solo un'opera di alta e nobile poesia, ma anche un saggio di resistenza morale alla volgarità dei tempi.