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Con Leonida, il poeta di Taranto che visse povero e ramingo nell'età in cui fiorirono i grandi nomi della poesia ellenistica (suo coetaneo fu Teocrito; di poco più giovani Callimaco e Apollonio Rodio), entra nella poesia greca un mondo nuovo, popolato di figure umili e operose: pescatori, boscaioli, carpentieri, falegnami, filatrici, tessitrici, ma anche caprai e pastori ormai privi delle tradizionali connotazioni arcadiche, figure antieroiche ricche di umanità e ritratte in pensose, a volte sconsolate, tonalità meditative. E con questa folla minuta di uomini entrano anche i loro strumenti di lavoro (ami, esche, lenze, canestri, nasse, ancore, remi, velature, gomene, compassi, squadre, pialle, trapani, seghe, spatole, accette, fusi, telai, conocchie, spole, rocchetti, bisacce, fiaschette da viaggio), i favolosi oggetti dell.infanzia (palle, sonaglietti, astragali, trottole) o le semplici cose di uso personale e domestico (cavigliere, cinture, tuniche, nastri per i capelli, specchi di bronzo, pettini di bosso). Eppure, nella severità malinconica delle voci che ci giungono dalle lande remote di Ade, non traspare solo la pena di un'esistenza dura, misera, fatta di patimenti e di fatiche (e spesso logorata dal peso della vecchiaia), ma anche il sentimento elementare di felicità connesso alla vita di ogni giorno.