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Contemplando un cielo illuminato, sostando sulla soglia ombrosa di una grotta, risalendo il corso di un fiume fino alle sue sorgenti, traversando un sentiero boscoso, non percepiamo ancora oggi il sentimento del sacro, il brivido di una presenza misteriosa? Nacquero così, nell'antico mondo italico, ben prima che Roma facesse la sua comparsa, il culto delle fonti e dei boschi, l'animata religione delle ninfe che abitavano i tronchi degli alberi o le rive erbose di un corso d'acqua. Un'antologia, quella curata da Luigi Picchi, che affonda nei grandi archetipi - insieme animistici e naturalistici - dell'arcaico mondo italico, quei miti che tuttavia, già in età imperiale, sembrano addomesticarsi in una visione più razionale e decorativa: così, in una pagina di Stazio, è lo stesso Volturno, antica divinità fluviale, a manifestare la sua gratitudine per la bonifica delle sue rive paludose e per la costruzione di un ponte che collegava con il suo vasto arco le rive opposte. Nasceva allora, forse, lo spirito dell'uomo moderno, diviso fra la volontà di piegare la natura ai suoi scopi e la nostalgia per la potenza numinosa del mondo naturale: tanto più si perdeva il sentimento del sacro in natura, tanto più esso si spostava nei boschi, forse ancora più terrifici, dell'anima.