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"Dalle coste africane la Sicilia e l'Italia appaiono come l'inizio di un cammino attraverso l'Europa, ma il traguardo di un cammino che ha avuto inizio molto lontano, tra fatiche inenarrabili e stenti. Gulino incomincia a dedicare la sua pittura all'epopea mai scritta dei migranti clandestini. In riva al mare raccoglie rottami di storia, sfasciami di barche abbandonate dopo la lunga traversata, relitti di naufragi. Una tavola trapezoidale, col fondo rosso accoglie un clandestinus bianco come un lemure, contorto in uno spazio insufficiente, la faccia contratta in uno spasimo come la donna di Guernica. Non è però questo il tipico clandestinus di Gulino. Più frequente è un tipo androgino, come constatazione della indifferenza dei sessi di fronte alla tragedia (ecce homo non è ecce vir) che in alcuni dipinti si svolge in una dissacrazione ironica del falso pietismo. La posa di un Cristo crocifisso, per esempio, è sormontata da una testa femminile col trucco pesante, mentre due figure tratte dall'art negre la sorvegliano calzando inverosimili scarpe col tacco a spillo. Dalla tragedia (porte inesorabilmente chiuse, di fredda geometria chiavistelli e catenacci) alla ballata più beffarda. Il clandestinus è colui che ha superato le barriere ed è inebriato di libertà. La sua metamorfosi irriverente è continua." (Carlo Bertelli)