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Soren Kierkegaard ed Emmanuel Lévinas appaiono tanto vicini negli intenti che muovono i rispettivi sistemi filosofici - la comune centralità dell'etica e la ricerca di una sintesi tra filosofia e religione - quanto divisi da un'inconciliabile divergenza nel metodo e negli approdi teorici. In questo breve saggio del 1963 Lévinas affronta a viso aperto l'eredità di Kierkegaard, e il risultato è un fecondo dialogo a distanza che, in poche battute, illumina il cuore della filosofia di entrambi. Lévinas è consapevole di quanto profondo e imprescindibile sia l'influsso di Kierkegaard su tutto il pensiero contemporaneo e sul suo stesso percorso speculativo, tuttavia non può fare a meno di dichiarare il suo "fastidio" per la violenza del metodo e per l'impudica esibizione della soggettività nel filosofo danese. Ma è soprattutto sul terreno condiviso dell'etica e della religione che il confronto a distanza si fa più drammatico e serrato. Al paradosso della fede assoluta e priva di ogni intellettualismo, al quale Kierkegaard consegna la sua angoscia esistenziale, Lévinas contrappone quella che chiama diaconia: la responsabilità infinita nei confronti dell'Altro, l'altruismo totale che si oppone al potere della morte. Sullo sfondo della riflessione c'è la figura di Abramo, colto dai due pensatori in momenti significativamente diversi della sua vicenda biblica.