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Caio Verre, governatore in Sicilia dal 73 al 70 a.C., è un modello di corruzione politica e tuttavia gli studiosi hanno attenuato il giudizio che a più di duemila anni lo addita al disprezzo comune: nulla togliendo alla gravità delle sue malefatte, si è ormai compreso che egli è stato un capro espiatorio. Se Verre aveva esasperato una condotta di sfruttamento e rapina comune ai governatori provinciali, con la sua liquidazione politica per via giudiziaria la classe dirigente d'allora cercò di porre riparo alla scarsa tenuta dell'establishment. Ciò che giustifica oggi una rilettura delle Verrine è dunque la possibilità di considerarle un testo mitico, un testo cioè che, secondo René Girard, documenta la realtà dell'assassinio collettivo; anzi è proprio il fatto di considerare Verre una vittima emissaria a illuminare nei dettagli il mito infamante che il suo accusatore gli ha esageratamente costruito addosso, a cominciare dalla pubblicazione, successiva al processo, dei cinque discorsi mai pronunciati davanti alla corte che giudicava a Roma i reati di concussione, in cui si assiste alla trasformazione dell'imputato in mostro impuro: una mostrificazione tanto più inopportuna quanto più infierisce su un uomo già condannato; una metamorfosi che d'altronde Cicerone ha messo in opera sin dalla prima udienza, giocando sul nome di Verre che in latino è il maschio riproduttore del maiale.