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"Mi alzo alle sette, vado a Ciampino (dove ho finalmente un posto di insegnante, a 20.000 lire al mese), lavoro come un cane (ho la mania della pedagogia), torno alle 15, mangio, e poi..." È il 1952, e Pier Paolo Pasolini può dedicarsi alla letteratura solo "poi", nel tempo libero dall'insegnamento. Attorno agli anni ciampinesi di Pasolini e ai ricordi dei suoi alunni e dei suoi amici (Bertolucci, Cerami, Pivano) - quei primi anni Cinquanta in cui nasceva "Ragazzi di vita" - Meacci costruisce un libro che è al contempo saggio, reportage, diario di viaggio e racconto, e in cui trova posto un'intera teoria di figure del nostro Novecento (e non solo): Totò, Fellini, Hemingway, gli sfollati del dopoguerra, Mizoguchi, il Vangelo, Mantegna, le tradizioni contadine, Simone Martini, il comunismo, Anna Magnani, Goldrake e Happy Days, l'America, Roma, il terremoto del Friuli, la grande poesia, la "scomparsa delle lucciole". Da quel 2 novembre del 1975; da Ostia a noi, oggi, quarant'anni dopo quella morte che pesa sui cittadini di questo triste, meraviglioso, sfortunato, bellissimo paese: forse è stato già detto tutto, o troppo. O troppo poco, chissà.