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Si tratta del primo dei "Sette sogni" dedicati al mito di fondazione americano. Quando nel 1990 Vollmann si mise in cammino verso le desolazioni artiche per scrivere questo suo primo capitolo dell'epopea genocida di scoperta, conquista e fondazione degli Stati Uniti d'America, sapeva che nel suo zaino di esploratore dell'estremo doveva stipare il mondo del mito assieme a quello dell'autobiografismo radicale, l'erudizione che abbraccia quattro cicli discordanti di sanguinose saghe nordiche e l'appunto occasionale preso sul taccuino da viaggiatore. Nel corso di vent'anni di scrittura forsennata, Vollmann ha conosciuto e raccontato prostituzione, droga, alcolismo, guerra, violenza metropolitana come altrettante tappe dell'approssimazione infinita al punto di saldatura tra vissuto reale e finzione assoluta, un punto reso definitivamente irraggiungibile dal collasso maligno tra vite artificiali e finzioni prosaicamente più reali del reale. Il risultato è un sogno lungo un giorno, la visione a cui ci si sveglia quando l'orecchio dello sciamano intuisce il punto di risonanza tra il diario di bordo di un esploratore secentesco e la farneticazione ascoltata dalle labbra di un ubriaco su di un autobus nel 1987. Al centro della narrazione, le terribili lotte per il potere nella Norvegia medievale che spingono i vichinghi a fuggire dalla loro patria e a intraprendere un pericoloso viaggio lungo le coste dell'Islanda e della Groenlandia alla ricerca di nuove terre.