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Gli psicologi - e i traslocanti - dicono che il trasloco è una delle esperienze piú traumatiche dell'esistenza: "C'è gente che è finita in convento per un trasloco, informatevi prima di cominciare". A partire dalla casa che il narratore lascia, tutto pare infatti slittare "dal trasloco al tracollo". Gli oggetti, per esempio: diventa evidente che esistono solo in apparenza, dato che in casa non possono essercene tanti. Il soggetto, poi: dov'è finito, se non può esistere senza relazione con gli oggetti? Il corpo a quel punto comincia a essere preda di fantasiose sindromi psicosomatiche e la mente è il campo di battaglia di riflessioni di vario genere, svagate, saturnine o pseudofilosofiche, sull'apparenza, la fortuna e la scalogna o zella. Anche gli eventi e il "funzionamento psicosociale" si imbizzarriscono: si incontrano grifoni ed ex beccamorti filosofi sui tetti di Roma, si fanno discorsi stralunati ai funerali di amici scomparsi, si consulta l'i qing che si apre a caso sull'esagramma "Trasloco" e si rasenta la licantropia. E quando, convalescenti dal trasloco, si cerca di tornare alle "nuove apparenze", si capisce che la fortuna è una questione di fiducia e, se arriva, è solo perché ci si immerge nella corrente senza opporsi.