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"La morte viene per l'arcivescovo" è un libro felice, uno dei pochi del Novecento. È la felicità piena che capita di provare in quella estate indiana della vita che è l'età di mezzo, quando la memoria inizia il suo lavoro di cesello e si comincia a familiarizzare col proprio destino. Allora, se si è artisti, può capitare di coniugare la maturità del talento col passo della giovinezza. Soprattutto se si ha negli occhi una terra giovane, per l'appunto, come il New Mexico. In questo scenario si muove padre Latour, vescovo missionario, sorretto da una fede fortificata dalla finezza dello spirito e incantato dalla maestosità del paesaggio e dall'armonia delle genti che lo abitano da sempre, indios e pellerossa.