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In questo "Greve è la neve" c'è un angelo supervisore che si fa carico di quell'ossessione curatrice che caratterizza i curanti e la trasforma in inermità, attenzione, attraversamento; annichilendo ogni troppo umano tentativo di esercitare la potenza su altri, tipica del rapporto fra terapeuta e paziente: questo niente in forma di puro ritmo versale è la forma della poesia. In proposito, mi sono tornati in mente i versi allegretti di quel libretto smagliante di Ottieri, personaggio-ombra che attraversa centralmente fra le tante ombre il libro Blu cobalto di Céline Menghi, L'infermiera di Pisa, che in pochi versi appunto illustra il modo mimetico che caratterizza il rapporto di potenza fra malato e terapeuta: "... Il malato è mimetico, / ha il male / che il terapeuta vuole. / No. È il terapeuta / che cura la malattia / che il malato vuole. / Tu della tua potenza su altri / hai fastidio. / Tu vuoi sentirti l'ultimo / (e ti senti il primo)". Il fastidio della potenza su altri è l'inumano in noi, è l'antigravitazionale che la poesia porta, come una minaccia perenne.