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La Valle d'Aosta ha, nel panorama gastronomico nazionale, un rilievo primario: infatti è un laboratorio dove si rintracciavano esperienze europee tuttora vive e in evoluzione. Forse è l'influenza francese, antichi i legami con le Alpi Marittime, ricco, naturalmente, l'intercambio col Piemonte (fino a questo dopoguerra era, burocraticamente, parte di esso), non manca nemmeno un'area di popolazione d'antica origine germanica... quindi una finestra sulla gastronomia dei knödel e dello speck: e tutto questo fuso e armonizzato da un forte sentimento di identità, formato nella comune vicenda storica e nella omogeneità delle condizioni ambientali, ma vivificato da quella corrente di scambi religiosi, culturali, commerciali che si muoveva lungo la cosiddetta Via Francigena. Una marca di frontiera dunque: e non è un caso che Salvatore Marchese viva in un'altra marca di frontiera, la Lunigiana. Questa sensibilità "frontaliera" alla cultura dello scambio in tutti i campi rende interessante questo libro, e sulla pagina si traduce in caratteristica apparentemente semplice ma vitalissima: la curiosità. Ecco, Marchese percorre le Valli d'Aosta (il plurale fa parte della scoperta) come un viaggiatore del Rinascimento, curioso di tutto, del cibo, ma anche del significato simbolico di un evento apparentemente strano come la "battaglia" delle vacche nelle celebrazioni di fine alpeggio, dei tentacolari ambienti sotterranei dove matura la Fontina...