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I grandi eventi che, intorno alla metà del Seicento, segnarono una svolta decisiva nella vita politica ed economico-sociale dell'Europa ebbero profondi echi e risvolti anche in Italia, nello Stato Pontifìcio e nella vita di Bologna. Vi persisteva, drammatica, la crisi economico-sociale delineatasi con le gravi carestie-epidemie della fine del '500 e poi con le carestie del primo Seicento, che avevano portato alla fissazione dei calmieri e ad una politica annonaria restrittiva, a primi incagli produttivi e mercantili delle manifatture, che erano poi culminati nella grande peste del 1629-30, e poi in carestie-epidemie sempre più ravvicinate, dalle quali la popolazione cittadina era uscita pressoché dimezzata rispetto al suo massimo sviluppo verso il 1580-5. Come nel resto dell'Europa la fine della guerra comportò, dopo un decennio di ulteriore assestamento, un prolungato periodo di pace ed una ripresa economico-demografica che anche in Italia e nel Bolognese fu assai sensibile, e avviò un deciso processo di ammodernamento nelle strutture, nella mentalità e nei costumi, ma per contro evidenziò l'ormai generale collasso delle strutture rinascimentali ed in particolare del sistema della finanza pubblica, da cui anche l'avvio di numerosi dibattiti in molteplici settori ed in un certo senso quasi di un protoriformismo.