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"Il racconto del Naufrago" - con la descrizione dell'isola felice in cui regna il grande Serpente, Signore della Terra di Punt - agli occhi di chi abbia conoscenza dell'antico Oriente, s'illumina di riferimenti che paiono esulare dalla mappa mentale del mondo egizio. L'idea di un'isola felice, nell'ottica autoreferenziale di quella società, è anomala: l'Egitto è di per sé la terra felice per volontà divina, perché immaginarne un'altra al di fuori? Invero, a partire al più tardi dal terzo millennio a.C, la civiltà mesopotamica aveva elaborato un mito del "paradiso terrestre" eleggendo la sacra isola di Dilmun a sede di un grande dio, e magnificando bellezza e ricchezza di quella terra in monumentali composizioni letterarie, con accenti di pari meraviglia e devozione. Una coincidenza? "La biografia di Amenemhat" narra invece di un'impresa concreta, la fortunata spedizione che al di là dei confini del mondo, da oltre la Nubia, il "miserabile paese di Kush", avrebbe riportato al re un cospicuo carico d'oro e di merci pregiate: in questo caso, una spedizione fluviale non meno pericolosa di quelle marinare.