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La casa di Orazio è sempre aperta. Le cene conviviali del poeta venosino amato da Franco, Fenelon e Leopardi

  • Autore: Iandiorio Virgilio
  • Editore: ABE
  • Isbn: 9788872974865
  • Categoria: Letterature straniere: critica
  • Numero pagine: 112
  • Data di Uscita: 28/07/2022
  • Collana: Notai e avvocati del Regno di Napoli
15,00 €
Esaurito

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E' diventato slogan, spot pubblicitario, insegna di noti ristoranti il sapore dell'antico. Quasi una sorta di riflesso condizionato in un'epoca, la nostra, dove il legame con il passato è ormai quasi impercettibile, dove si discute di prodotti transgenici che impallidiscono al confronto con la supposta genuinità di quelli di una volta. E sulle nostre tavole ben fornite di ogni ben di Dio chi sa quali alimenti manipolati giungono e giungeranno. Quando il passato diventa irraggiungibile, quando la distanza tra noi e quelli che furono diventa incolmabile, ecco che questo, il passato, si colora di nostalgie, di ricordi e di miti. Questa sera siamo ospiti in casa di Quinto Orazio Flacco. «Quale che sia il piacere, me ne vado da solo, chiedo il prezzo della verdura e del farro; mi aggiro tra gli inganni circensi e nel foro spesso fino a sera, mi fermo dagli indovini, e poi me ne ritorno a casa al piatto ti porri e di ceci e frittelle. La cena viene servita da tre ragazzi e la tavola bianca sorregge due coppe con un boccale, accanto c'è una saliera di poco valore, un'ampolla con il piatto, suppellettile Campana». Cominciamo dalla tavola su cui veniva servito il pranzo. Quelli che se lo potevano permettere avevano tavolo di legno pregiato (di acero per esempio), tovaglia decente, tovaglioli nitidi, bicchieri di vetro e piatti tersi come specchi. Per la gente meno abbiente, tavola di pietra, ciotole, bicchieri di terracotta, rozza saliera, ampolla, piatto largo (per metterci un poco di tutto), stoviglie di produzione Campana, quelle a buon mercato. Negli altri giorni dell'anno il pasto principale della giornata doveva essere alquanto più frugale. Non mancavano mai legumi e ortaggi: ceci, fave ben unti in grasso lardo, lapazio, porri, malva, cavoli conditi con olio e aceto. I cavoli migliori erano quelli coltivati nei campi "asciutti", quelli coltivati negli orti irrigui erano insipidi. Uova sode bislunghe, che erano più gustose di quelle rotonde, si accompagnavano alle olive nere: le olive migliori erano quelle di Venafro, ma anche la produzione di altre regioni meridionali non era malvagia. Il primo piatto era costituito da zampetto di maiale affumicato, da salsicce, ma anche da vile trippa. Si potevano avere anche pollastri e capretti, lessati o arrostiti.

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