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Perché tanti filosofi italiani, pur assai diversi tra loro, si sono rivolti a Leopardi? Che cosa hanno creduto di ritrovare nella ricerca teorica e nella poesia del Recanatese? Ripercorrere le letture - veri e propri usi liberi, più che interpretazioni - che da Rensi, Croce e Vossler, passando per Giusso, Amelotti, Gentile, Tilgher, Luporini, Timpanaro, per finire con Toni Negri e Severino, sono state date di Leopardi, significa ricostruire una possibile storia della filosofia italiana del Novecento. Una storia che si confronta col tema della crisi, da cui la civiltà europea si è sentita investita in più di un'occasione nel corso del secolo breve. Ricorrere a Leopardi ha significato rivolgersi al pensiero più potente che la nostra tradizione culturale recente offriva a chi volesse pensare la crisi senza ridurla a un negativo che si facesse strumento del positivo e senza sognare alcun ritorno a edeniche condizioni originarie; a chi volesse cercare il riscatto mobilitando insieme alla ragione anche l'immaginazione e il sentimento, in una rinnovata alleanza tra filosofia e poesia. In questo modo la filosofia italiana conferma quella vocazione civile che l'ha sempre caratterizzata.