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I troppi schemi fanno venire la nostalgia del calcio pane e salame, quando dalla panchina arrivava un'unica raccomandazione: "Palla lunga e pedalare!". Già, pedalare. Se esistesse un biathlon fatto di calcio e ciclismo sarebbe la migliore disciplina sportiva. Ammetto che dal punto di vista fisico non c'è niente di più contraddittorio. Tirare pedate a un pallone non si concilia in alcun modo con lo sforzo di pigiare sui pedali. Ma c'è un'epica che lega la partita di calcio alla gara ciclistica. Attraverso le gesta di Meazza o di Coppi si può narrare la storia di un popolo, tramandare la memoria di una generazione. Un diagonale imparabile in zona Cesarini come l'ultimo chilometro di una fuga solitaria divengono racconto leggendario. Un calciatore che s'invola sulla fascia o un ciclista che vince a braccia alzate sono eroi in cui tutti si riconoscono. Un dribbling ubriacante o lo scatto secco in salita assumono un sapore mitico, qualcosa di favoloso che serve a colorare la ferialità del vivere. C'è una frase, attribuita all'alpinista Walter Bonatti, che spiega bene questa necessità esistenziale: la realtà è il cinque per cento della vita, l'uomo deve sognare per salvarsi.