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La lezione della pandemia, il frenetico agire in funzione di un problema di cui non si conosce la soluzione, ha messo in luce la necessità di un ripensamento globale della Sanità pubblica rispetto alle richieste di salute di oggi. Molti fattori già da tempo, in tutto il mondo, di fatto reclamano una trasformazione dei sistemi di cura nei vari Paesi. Tra i più urgenti, comuni a tutti, c'è per esempio la presenza in maggioranza di donne che curano, che sono già la workforce dei prossimi anni. Portando con sé, insieme alle sfide ambientali, per le mutazioni drammatiche del rapporto tra ambiente e salute, tra sviluppo e rispetto della terra, una diversa organizzazione del lavoro, che influenzerà anche la relazione con i luoghi di cura, che ne verranno sperabilmente modificati. Tutto questo reclama fin da ora proposte per una agenda di trasformazione sanitaria in profondità, e pari alla crisi di management in atto. Sarà il momento di rivalutare non solo le condizioni di cura, ma anche le reti e l'adeguatezza degli ospedali, cioè gli umani spazi di cura per chi si ammala. È necessario riflettere sulla ri-costruzione del concetto di continuità tra salute e malattia, tra cura e benessere, tra territorio e ospedale, tra vita e morte. Riconducendo "a casa" le ragioni della strategia di contenimento dell'infezione: abbiamo visto che in Cina la casa è stato il primo luogo di cura che ha permesso di evitare l'aggravamento e limitare i ricoveri in ospedale, ma era piuttosto il sistema sanitario che elasticamente si muoveva da e tra differenti emergenze e necessità.