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Tra le opere memorabili del primissimo Novecento, il romanzo breve di Wilhelm Jensen "Gradiva" occupa un luogo del tutto a sé. Universalmente noto per il saggio che gli ha dedicato Freud interpretandolo come un "delirio" onirico, ma forse, a tutt'oggi, non molto letto, è un testo misterioso e seducente, palpitante di sensi e di simboli. Storia di uno studioso d'arte classica (Norbert Hanold) che, soffrendo un'acuta angoscia senza capirne il perché e perdendosi a lungo in un labirinto di fantasie simili a sogni, ritrova pian piano il bandolo della propria vita liberandosi dalla morsa che lo aveva condannato a "rimuovere" la forza di Eros, "Gradiva" è allo stesso tempo una grande parabola esistenziale e ideologica, un mito moderno che ci mostra da una parte i rischi di irrigidimento del pensiero astratto, teorico, votato solo alla purezza delle idee o delle forme, e dall'altra l'insopprimibile, suadente, melodioso richiamo di quella grazia erotica che è (come ben intese Bergson) forma in movimento, esistenza fluida e sfumata, spirito della metamorfosi, invitation au voyage. Sedotto da questo mito come possono esserlo gli gli innamorati, ma insieme capace di rivisitarlo con sguardo lucido e icastico, Luigi Fontanella ha composto un poemetto che sa evocarne le immagini e i punti salienti, lasciandoli fluttuare nell'onda aperta, "remota" e numinosa di una personalissima rêverie. Prefazione di Giancarlo Pontiggia. Postfazione di Carla Stroppa.