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Sin dagli esordi, la poesia di Stelvio Di Spigno si è alimentata di forti tensioni interne. In questi anni è cresciuta tenendo insieme, in un tenace equilibrio, riflessione esistenziale, senso del distacco da un passato fatalmente perduto e consapevolezza storica, che come un'ossessione, certifica l'inadeguatezza dei nostri tempi. Giunto al quinto libro organico, queste direttrici sembrano esplodere e giungere al lettore in tutta la loro drammaticità. "Minimo umano" è insieme un libro sulla perdita e sulla fine, sulla sconfitta e la vecchiaia, che mescola fedeltà alle cose e doloroso rimpianto per chi è scomparso, vicende di vite spezzate e commozione per la fragilità umana. Ma quando tutto sembra avviarsi verso un cupio dissolvi senza redenzione, ecco affacciarsi la possibilità di una salvezza mai intravista nei lavori precedenti di Di Spigno. Questa è la vera novità di quest'opera: una luce radiosa che conduce alla certezza di una rinascita e di un riscatto dalla sofferenza con uno stile scultoreo, potente, forte di quella fiducia che sgorga dalle sorgenti stesse della vita.