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Dove cercare l'"Azzurro vero"? La risposta è nella visività dell'umano, che nella poesia di Daniela è confine di eterotopia, dove la ricerca del vero si annida nell'incontro con l'altro, nella cui innocenza far abitare teneramente il proprio desiderio di vivere. Che è oblio dell'essere di prima, memoria di quando è già in noi nel "solo cuore" acronico del sempre essere umano. Essere umano equivale ad essere terrestre, per analogia pure ad essere celeste: il "cielo stalattite", configurato nelle poesie di questo volume, è l'alto che goccia giù, nella grande grotta della vita: è da questo archetipo dell'intimità profonda di una linfa originaria, dove danza il vero, che inizia e agisce il "ventoluce/in tutte le sue forme". Leggere le poesie di Daniela è come scendere nella concavità di sé, dove le radici dell'umano incontrano la tensione verso l'alto, il cielo, l'azzurro, il vero. Poesia del senza confine, la lingua di Daniela è liricità mistica intesa nel tutto intero, dove non passa il passato, né lo spazio è dimensione, bensì un avvolto di natura 'naturans', in avvio verso la sazietà.