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Il carattere demoniaco attraversa come un filo rosso gran parte della letteratura kierkegaardiana, assumendo le forme più varie. Nonostante il filosofo danese non dia mai una definizione univoca di tale carattere, cenni più o meno espliciti al "demoniaco" in quanto "chiusura" o assenza di comunicazione si ritrovano in tutta la sua opera. Scrivere è rivelarsi e al contempo nascondersi, e in quest'arte Kierkegaard è stato un maestro indiscusso. La scrittura diventa parte di un processo creativo che va al di là della mera produzione letteraria e artistica, e l'uso della pseudonimia è profondamente radicato nell'ambiguità del carattere demoniaco. Il tentativo kierkegaardiano di unificare la moltitudine di voci pseudonime attraverso la rilettura dei propri scritti in chiave religiosa fa parte di questo stesso processo d'introspezione e autoriflessione. In una sorta di "autobiografia involontaria", i diversi "io" dell'autore vengono oggettivizzati nei vari pseudonimi, creando cosi nella scena letteraria un teatro di personaggi in cui può continuamente portare avanti il dialogo con se stesso.