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Il libro ripercorre la storia dei rapporti del potere sovietico con lo sport che fin dal suo apparire aveva acceso la passione dei russi. In una società totalmente ideologizzata come quella staliniana, era fatale che la figura del calciatore fosse utilizzata dall'apparato propagandistico di stato come strumento di "educazione" della coscienza collettiva. Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, a esaltazione dell'eroismo profuso dai sovietici nella difesa della Patria, nacque il mito della cosiddetta "partita della morte" che, nella Kiev occupata dai nazisti, vide di fronte su un campo di calcio una selezione tedesca e gli indomiti giocatori della locale Dinamo. Altre volte i calciatori sovietici non riuscirono a mantenere alto di fronte al mondo l'onore dell'URSS e di Stalin: ciò accadde per esempio in occasione delle Olimpiadi di Helsinki 1952, quando si trovarono opposti alla fortissima nazionale della Jugoslavia di Tito. E al ritorno in Unione Sovietica pagarono il loro insuccesso...