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Le esigenze di imparzialità, di ricostruzione oggettiva dei fatti e di controllabilità razionale dell'operato del giudice, proprie del giusto processo, richiedono un discorso fondato e sviluppato sulla base di schemi di ragionamento "logici" e "razionali", vale a dire certi ed obbiettivi nelle loro premesse, nella scelta della regola di associazione tra premesse e conclusione, nella determinazione del nesso di conseguenzialità e nelle relative conclusioni. Questo è il quadro auspicato e auspicabile, ma la realtà è ben diversa. Se quindi guardiamo alla realtà del processo, in cosa consiste la logica del giudizio di fatto? E la prova, in che termini può essere realisticamente definita razionale? Il saggio si propone di rispondere a queste domande, ed individua come propria del giudizio di fatto, salvi casi particolari, la logica non dimostrativa né deduttiva, bensì la logica che può essere definita empirica, induttiva, abduttiva, argomentativa, dialettico-retorica e opinativa, di cui sono chiariti i caratteri specifici. Mentre il ragionamento probatorio può dirsi razionale quando è linguisticamente corretto, completo, rappresentativo, attendibile, plausibile, coerente e congruo, nei termini del pari specificamente chiariti.