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«Il 16 e il 17 novembre 2018, presso il Castello di Torrimpietra, si è svolto il Colloquio Malatestiano Il teatro delle didascalie dal vaudeville a Beckett, a cura di Silvia Carandini, Claudio Vicentini e mia, quattordicesimo appuntamento della sezione dedicata al Teatro e alle Arti dello spettacolo. Tale delimitazione temporale si giustifica con una considerazione che ci è parsa evidente: questa componente dell'apparato paratestuale di un'opera teatrale conosce un considerevole incremento nell'arco di tempo considerato, nella quantità come nella qualità del suo contributo alla definizione di singoli modelli drammaturgici. Si rivela, insomma, un indicatore importante delle mutazioni che accompagnano, fra Settecento e Novecento, il rapporto fra testo e scena. Rispetto all'ambito cronologico indicato dal titolo, la nuova fortuna dell'apparato didascalico è stata però indagata a partire da qualche decennio prima: da quando, cioè, decade l'ostracismo decretato nei suoi confronti dall'estetica del classicismo. Per l'Abbé d'Aubignac, infatti, l'accostamento di una prosa per sua natura scadente ai bei versi dei poeti drammatici rischia di compromettere la bellezza dell'opera. Considerata «voce d'autore», la didascalia contravviene alle drastiche regole classiciste le quali impongono che al dialogo, ed esclusivamente ad esso, competa non solo la comprensione della trama, ma anche la sua capacità di commuovere e stupire. Una sua possibile qualità letteraria non è, nella rigorosa separazione dei generi vi- gente in quel modello estetico, nemmeno contemplata. Ma c'è una ragione più strettamente formale che impone il ricorso alla didascalia: sarebbe un errore, da parte dell'autore, manifestare la sua presenza in un testo nel quale la convenzione stessa lo vuole statutariamente assente...» (Maria Grazia Porcelli)