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«...Gente come gruppo discendente da un ceppo comune, in questo caso Volterra [...] con il suo timbro, con il suo carattere determinato da una particolare architettura ossimorica, fatta di integrazioni di opposti: sarcasmo e romanticheria, idealismo e realismo, esibizionismo e riservatezza, cocciutaggine e duttilità. Aspetti molto vistosi soprattutto fra gli intellettuali siano essi scrittori, artisti, strateghi, uomini politici. Il periodo di cui mi sono occupato va dal primo secolo avanti Cristo al Novecento con salti dovuti non alla mancanza di spiriti degni della morbida roccia del Poggio, ma alle mie preferenze, ai miei gusti. In fin dei conti, si tratta di un'antologia e i fiori da rendere memorabili li scelgo io. Questa è la Volterra che io ho preferito far conoscere. Nella carrellata di eruditi, di principi della chiesa, comandanti militari ed eroi popolari, va da sé che ho trattato con molta cura principalmente questi ultimi anche per il fatto che, in genere, non vengono ricordati, essendo appunto, anche in senso non elencativo, proprio gli ultimi. Io che non sono un esperto della storia di Volterra né vista come paragrafo della storia grande, né come "cronaca familiare", sono rimasto davvero strabiliato per la presenza di ammiragli di fama tra la nostra gente. Mi è venuto subito in mente lo scherzoso appunto di Carlo Emilio Gadda che, a proposito del "marinaro/ biondo che dal Gianicolo spronava/ contro l'oltraggio gallico", si domandava che cosa ci facesse un marinaio a cavallo sull'augusto colle di Roma. Ma che ci facevano tutti questi nobili volterrani sulle navi ad "anguillare" il mare? Ma torniamo alle riflessioni sulla forma del mio piccolo contributo. Scrive Carlo Cassola: "Per uno studioso locale le maggiori soddisfazioni sono costituite non tanto dalle pubblicazioni in sé (lette da pochissimi e fatte generalmente a proprie spese;) quanto dalle citazioni. Così Romualdo Cardarelli, con legittimo compiacimento, mi riferisce che il Brown, nella sua Cosa, History and Topography, lo ha citato venti volte". Quindi, niente epigoni del Guidotti di Scarlino, archeologo, professore di recitazione, schermidore e poeta, autore di un sonetto sul suo paese e sul quale si sofferma Luciano Bianciardi nel primo capitolo del suo Il lavoro culturale. Solo personaggi che, da volterrani, hanno onorato assieme la piccola e la grande patria (heimat e vaterland, secondo la distinzione di quel popolo attento alle sfumature che è quello tedesco). E, quindi, preti, vescovi, papi, umanisti, pittori, inquieti di ogni tendenza. Sono quasi assenti i politici diciamo così professionali (ho inserito solo quelli che hanno mantenuto alto il patto d'onore con la propria origine, con la propria gente) non per indulgere anch'io alla moda disdicevole dell'antipolitica, ma perché in genere si tratta di personaggi che non evidenziavano niente di notevole da essere apprezzato da noi e dalle future generazioni...» (Il Curatore)