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Quest'opera intende indagare su cosa "implichi l'essere pedagogista. Non dunque educatore o maestro, ma proprio pedagogista e, cioè, uno i cui studi universitari abbracciano le scienze pedagogiche nel senso più vasto della parola". Siamo a qualche anno dalla fine della guerra. L'Italia è in pieno fermento di ricostruzione e dì cambiamento. È la prima volta che si pubblica nell'Italia repubblicana un'opera che mette a fuoco identità, natura e articolazione della Pedagogia come disciplina scientifica. Ma la vera questione da rilevare è perché Luigi Volpicelli decide di intitolare l'operetta di Hessen alla Difesa della pedagogia? Perché sceglie un titolo che ha il valore di una freccia lanciata nello spazio del dibattito pedagogico e politico che stava infiammando i primissimi passi della vita repubblicana nel nostro Paese? Hessen sostiene una precisa idea di Pedagogia come Teoria della cultura (Bildung), ne sottolinea il radicamento nella filosofia e, parimenti, ne rivendica l'autonomia come scienza. Nella Introduzione alla ristampa dell'opera, Umberto Margiotta ricostruisce il dibattito che segnò, tra il 1945 e il 1953, la genesi della epistemologia pedagogica nel nostro Paese in diretto confronto con i primi passi delle politiche scolastiche democratiche e repubblicane. Codignola, Borghi, Flores D'Arcais, De Bartolomeis, Bertin, Marchesi, Banfi, l'Università Cattolica di Milano e i primi passi di Scholé dialogano, a distanza, con Hessen e Luigi Volpicelli segnando i termini di un confronto che ha accompagnato la storia della ricerca pedagogica italiana fino ad oggi. Per concludere che, a dispetto delle contrapposizioni e dei distinguo, la lezione di Hessen ci si presenta come un ritorno al futuro. Stagliandosi infatti l'orizzonte formazione come inevitabile rilancio di un nuovo Umanesimo.