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"È diffusa la convinzione che la democrazia supponga una certa sfiducia nei confronti della verità - della possibilità, per l'uomo, di pervenire a una qualche verità condivisa intorno a ciò che è importante per lui. La democrazia, si dice, è necessariamente relativistica: solo una concezione relativistica della verità giustifica il fatto che tutte le opinioni stiano sul medesimo piano. Poi c'è la Rete, che ha moltiplicato se non le opinioni certo la loro diffusione e circolazione, erodendo anche gli istituti della rappresentanza: se infatti tutte le opinioni si equivalgono, e se tutti ormai possono esprimersi su tutto in tempo reale, a che valgono i Parlamenti? Perché occorre ancora la mediazione dei rappresentanti della volontà popolare, se la volontà popolare può manifestarsi direttamente? Queste domande sono al cuore del libro che, nell'ordine: contesta in primo luogo l'idea che la democrazia debba disinteressarsi della verità; contesta in secondo luogo l'idea che il carattere rappresentativo delle democrazie moderne sia inessenziale e, perciò, superato; contesta infine l'idea che nello spazio della Rete siano venute meno tutte le mediazioni. Lungo questa linea polemica, la filosofia si propone come un esercizio di critica del presente, pur riconoscendosi in un detto di Robert Musil, che non si può mettere il broncio ai propri tempi senza riportarne danno".