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"Credo che oggi, esattamente come vent'anni fa, il lavoro teorico ed empirico sulle devianze vecchie e nuove debba sfuggire alle pretese della terminologia positivistica delle scienze sociali e soprattutto dei meccanismi politico-morali che esse innescano. Così, un lavoro sulle scienze dell'immigrazione potrebbe mostrare, allo stesso modo in cui Foucault ha decostruito le idee di razza e di nazione, come il linguaggio 'tecnico' della demografia, della sociologia, delle relazioni internazionali, ecc. travesta spesso la preoccupazione profonda di inferiorizzare i migranti, di tenerli a distanza, di farne dei non-cittadini. In questa prospettiva, il saggio che viene riproposto non è che una prima lettura, inevitabilmente parziale, delle procedure con cui le moderne scienze hanno contribuito a spoliticizzare l'esperienza". "Sono convinto, oggi come ieri, che i discorsi sociologici (e criminologici) sulla devianza non debbano essere trattati tanto come ipotesi scientifiche su certi aspetti della realtà sociale, quanto e soprattutto come dispositivi che costituiscono il proprio oggetto in base a strategie che hanno a che fare con il potere" (dalla Prefazione alla seconda edizione del 2000).