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Il nucleo degli scritti qui raccolti è costituito dagli articoli che Fanon scrisse in forma anonima per l'edizione francese di "El Moudjahid", giornale del Fronte di liberazione nazionale algerino al quale collaborò dal 1957 al 1960. In essi - come osserva Jean Khalfa nell'introduzione -non è difficile scorgere il suo stile, la sua insistenza sui processi vitali all'opera in ogni disalienazione, il suo interesse per una coscienza che si forma solo liberandosi dalle identità del passato, così come la sua preoccupazione di impedire l'ossificazione delle strutture rivoluzionarie e del neocolonialismo, e la sua fedeltà a una dimensione propriamente rivoluzionaria del movimento nazionale algerino. In generale, questi scritti mostrano come nel contesto rivoluzionario si elabori la rottura con la centralità della Francia: condizione ideale nella quale cresce ed evolve anche il pensiero di Fanon. La rivoluzione algerina appare come l'epicentro dal quale si propagano le scosse telluriche che fanno oscillare la torre d'avorio dalla quale gli intellettuali europei - non solo francesi - hanno raccontato il resto del mondo, subordinandolo alle loro voci, alle loro lingue. Al tempo stesso, la rivoluzione algerina è anche la lente attraverso la quale è possibile leggere il mondo oltre il conflitto con la République, mettendo a nudo le contraddizioni e le ingiustizie di una geografia centrata sul ruolo dell'Europa nel mondo. Il confine tra Parigi e Algeri diventa il collettore di istanze di lotta e di liberazione che riguardano l'intero continente africano, i processi di costruzione di nuove società, ma anche lo spunto per riflettere sull'Europa, sul suo rapporto con il fascismo e il colonialismo nella costruzione del mondo occidentale.