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La parola che riassume lo spirito più profondo dello hinduismo è yajña, sacrificio. Quell'antichissima civiltà ha collocato all'origine di tutto non un principio 'roccioso' e stabile, ma la suprema contingenza di un principio che non avanza diritti a essere, che è perciò oblazione, offerta totale di sé per far essere i mondi possibili. Dalle più antiche testimonianze vediche fino alle Upanisad accade una progressiva interiorizzazione della prassi sacrificale, per la cui comprensione è stato scelto qui, come guida, l'insegnamento di due grandi figure upanisadiche, Yajñavalkya e Naciketas. Ciò che domina in esse è la meraviglia per la potenza del pensiero e conseguentemente la sperimentazione di tutte le possibili forme di manifestazione del pensare. Emblematico è il celebre primo verso dell'inno vedico X, 129, dove si afferma che "in principio", "allora", «non c'era né ciò che non è, né ciò che è». Con un colpo d'ala inimmaginabile nel pensiero greco, ci si porta alle spalle dei generi sommi che sembrerebbero delimitare i confini della pensabilità.