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"L'ipogeo segreto" di Salvador Elizondo è una città inaudita, un sottosuolo che affaccia sull'infinito, una enigmatica geometria letteraria che i personaggi del romanzo si incaricano di decifrare e sovvertire. Consapevoli di essere figure letterarie, di coincidere con l'atto di scrittura che li crea, H., X., il Saccente, l'Altro e lo Pseudo-T inseguono il loro autore, l'Immaginato, e fra dubbi, supposizioni e oscure teorie, tentano di entrare in possesso del libro che Mia, "la Cagna", legge accanto a una finestra e in cui suppongono sia narrata la loro storia. La loro avventura metafisica, in fuga dall'eterno presente che li imprigiona, li condurrà a percorrere le vie liminari della narrazione che, come un nastro di Möbius, si avvolgono su se stesse, in bilico fra sogno e realtà, ragione e delirio, memoria e oblio, fino a dissolversi nell'incanto di un linguaggio letterario che da mezzo diviene fine e si offre, sontuoso, alla contemplazione estetica del lettore. A metà fra le paradossali architetture di Escher e le città invisibili di Calvino, "L'ipogeo segreto" costruisce un tortuoso labirinto di specchi a doppio fondo in cui la scrittura, riflettendosi, si trasfigura e si trasforma in immagine viva e conturbante.