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Luciano Allais. personaggio formidabile e riservato: negli anni Sessanta del XX secolo considerava gli immigrati - che dal Sud, come una fiumana, si riversavano su Torino e il Piemonte - come «cittadini». Anche buona parte della Chiesa torinese lo pensava e si comportava di conseguenza. Ma c'erano ferventi cattolici che non perdevano una Messa, che inalberavano sui portoni cartelli: «Non si affitta a meridionali» e l'arcivescovo Michele Pellegrino dettava l'ostracismo: «Quella signora è meglio che non venga più in chiesa». Per don Luciano era un crimine «far venire immigrati a migliaia, senza un tetto e servizi decenti; saturare la città stipandola di gente dagli scantinati alle soffitte. Ciò vuol dire scambiare l'uomo per una macchina che si monta, si imballa, si spedisce». La sua azione sgorga dalla convinzione che la mobilità sia positiva. Uno che l'ha conosciuto bene lo qualifica come «il più capace prete di Torino negli anni Cinquanta-Settanta in materia di assistenza e immigrazione». Torino è nostra, di noi tutti veri torinesi vecchi e nuovi, nati o importati. Per noi Torino è la più simpatica e più gradevole città del mondo, la migliore. Noi soli possiamo dire che non è vivibile. Ma gli estranei devono dirci: è bella. Ferruccio Borio