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"Era logico che Uta scrivesse anche racconti e romanzi. Non per velleità di 'fare' né per desiderio di collocarsi nella stessa area degli autori da lei studiati, ma per una necessità personale, che credo di conoscere bene, perché mi sento ovviamente vicino a Uta nell'inclinazione a questo vizio - vizio felice, felix culpa, come diceva Sant'Agostino del peccato originale. (...) La problematica femminile, così acutamente analizzata negli studi dedicati dalla Treder a Lou Andreas-Salomé e ad altre autrici, diventa, in un romanzo come 'Le profetesse', carne e sangue; retaggi positivi e negativi del passato diventano vita vissuta della protagonista, la giornalista di oggi, nei suoi conflitti affrontati o rimossi, nel suo destino sentimentale, con la sua inevitabile ambiguità. C'è qualcosa della tragicità della Sibilla più o meno sempre presente nell'opera di Uta, critica o narrativa; forse la tragicità di chi riesce a vedere, o per lo meno a percepire, a intuire ciò che è vero, è imminente, ma che sarebbe più comodo, più protettivo non vedere, non avvertire." (Claudio Magris)