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Nel microcosmo fluido del grembo materno l'individuo nascente inizia la sua avventura sensoriale in un ambiente permeato da un brulichio sonoro continuo e sommesso, nel cui fondo indistinto risaltano la voce, il fruscio del rumore respiratorio e il battito cardiaco della madre. Quei suoni, e in particolare la nenia aurorale della voce materna, vengono istintivamente memorizzati dal piccolo che li riconoscerà infallibilmente una volta venuto alla luce. Perché il "suono ritrovato" rinnova istantaneamente la magia di un Eden perduto, di una condizione fusionale felice e originaria in cui il desiderio era una cosa sola con il suo stesso appagamento. Il suono è l'aurora della vita, il fantasma acustico di un archè non solo biologico: nel dolce viluppo amniotico e sonoro è infatti possibile indovinare le coordinate di un vissuto primario, una sorta di plasma perinatale i cui frammenti in sospensione si condenseranno poi nel fondo simbolico e mitopoietico della psiche, dopo il "big-bang" della nascita.